Marco racconta in prima persona le vicende degli ultimi dieci anni della sua vita. Top manager di uno dei più grandi Gruppi assicurativi italiani, lascia il lavoro dopo il tentativo d’acquisizione di una banca d’interesse nazionale.
Perde anche l’amore e si proietta, smarrito, in una nuova vita, piena di incognite e di interrogativi. Per esorcizzare le perdite dell’amore e del lavoro, inizia un viaggio alla ricerca di se stesso che lo porta nei luoghi in cui è nato, quelli della giovinezza, nella sua Sicilia. Tutto il percorso si sviluppa così intorno all’analisi e alla riflessione sui temi portanti dell’esistenza, in un intreccio costante di riferimenti politici e filosofici, corsi e ricorsi di vichiana memoria.
Poi emerge la ricerca di una luce, di una speranza, che viene lasciata aperta alle giovani generazioni, se sapranno riappropriarsi della comunicazione e dell’amore, come residua, forse ultima, possibilità di salvezza. Un romanzo esistenziale, ispirato da fatti realmente accaduti, e ricondotto poi su scenari di fantasia, quasi onirici, di pregnante attualità.
Carmelo De Marco è nato nel 1946 a Messina. Avvocato e giurista, ha pubblicato libri di diritto per Giuffrè Editore e saggi su riviste giuridiche e di management. Negli anni ’80 è stato Top Manager di un gruppo assicurativo-finanziario a Bologna, dove è vissuto per molti anni. Da poco è tornato nella terra natia, a Messina, dove si è stabilito definitivamente. Nel 2008 ha pubblicato per Firenze Libri un volume di poesie Ho dimenticato di stirare e nel 2018 ha pubblicato per i tipi di Kindle, Amazon, Piatti galanti di un cuoco per caso, non un libro di cucina ma storie di vita con protagonisti alcuni ingredienti. Questo è il suo primo romanzo.
FOREIGN RIGHTS
Marco tells firsthand the events of the last ten years of his life. A Top manager of one of the largest Italian insurance groups, he leaves his job after the attempt to acquire a bank of national interest.
He also loses his love and projects himself into a new life, full of unknowns and questions. To exorcise the losses of love and work, he begins a journey in search of himself that takes him to the places where he was born, in his Sicily. The whole journey thus develops around the analysis and reflection on the main themes of existence, in a constant interweaving of political and philosophical references, courses and recourses of vichiana memory.
Then emerges the search for a light, a hope, open to the younger generations, to regain possession of communication and love, as a residual and last, possibility of salvation. An existential novel, inspired by facts that really happened, and then brought back to scenarios of fantasy, almost dreamlike, of pregnant current events.
Carmelo De Marco was born in 1946, in Messina. Lawyer and jurist, he has published law books for Giuffrè Editore and essays on legal and management magazines. In the 80s, he was Top Manager of an insurance-financial group in Bologna, where he lived for many years. He recently returned to his homeland, Messina, where he settled permanently. In 2008, he published for the publishing house Firenze Libri a volume of poetry called “Ho dimenticato di stirare”. In 2018 he published for Kindle, Amazon, “Piatti galanti di un cuoco per caso”, not a cookbook but life stories with some ingredients as protagonists. This is his first novel.
RECENSIONI
Una suggestiva tela a forma di libro
“Se la terra trema, il cielo sicuramente trama! Niente panico, non era un evento sismico naturale, ma il sussulto della vita nelle sue due più tipiche espressioni: lavoro e amore”.
Protagonista del coinvolgente romanzo di Carmelo de Marco è Marco, un “personaggio” che si racconta in prima persona, ma anche un “umano” a tutti gli effetti e viene naturale empatizzare subito con lui. A renderlo reale sono i suoi conflitti interiori ancora irrisolti: quella soddisfazione proveniente dal lavoro di top manager di un grande gruppo assicurativo e dai rapporti amorosi o amicali intessuti non basta più a renderlo davvero appagato. Alcune relazioni vacillano e così anche le sue certezze, allora lascia Bologna e l’ambiente del freddo denaro e si rifugia in un passato da riscoprire, rappresentato da un luogo splendido, la sua Sicilia, e simbolo di una giovinezza dal rarefatto sapore nostalgico. Lo smuove un “moto proustiano” di ricerca del tempo perduto, della luce, della vera essenza della vita.
“Qui la situazione è ancora più critica, il popolo, stanco della vecchia politica, ha votato il populismo più becero che lungi dal risollevare le sorti del Paese, lo sta portando sull’orlo del fallimento”.
Marco è stanco di tutto il marcio che deteriora il mondo, ma le sue critiche non sono mai fini a loro stesse, sono lo strumento con cui l’uomo razionale riesce a indagare nel profondo ciò che lo circonda per indirizzarsi verso percorsi lucidi, dunque senza rinnegare la speranza di un avvenire più roseo riservato alle generazioni future. Le sue riflessioni coinvolgono tematiche politiche ed esistenziali e sono impreziosite da riferimenti filosofici.
“E da un cassettino della memoria viene fuori, non richiesto, il richiamo alle parole dello scrittore e filosofo statunitense Elbert Hubbard: – Non esiste errore più grave nella vita che vivere costantemente con la paura di farne uno –”.
“La tela di Marco” è un romanzo profondo ma che scorre, sorretto dallo stile fluido e ricercato dell’autore, che si veste di piacevolissime venature poetiche e descrizioni così vivide da diventare immagini, scene. Non posso fare a meno di consigliarne la lettura, di immergersi in questa storia per saziare l’aridità dei nostri tempi con la ricchezza di queste pagine.
“Si vive solo una volta, ma se si fa bene, è sufficiente”.
Recensito in Italia il 23 gennaio 2022 da Gabriele P. – acquisto Amazon
Marina Sarracino – È sempre piacevole quando da una collaborazione lavorativa si sviluppa un gentile rapporto di stima.
Sono grata all’autore Carmelo De Marco, a cui ho revisionato l’ultima opera scritta e in uscita (di cui parlerò in un altro post) per avermi regalato una copia del suo libro precedente: 𝑳𝒂 𝒕𝒆𝒍𝒂 𝒅𝒊 𝑴𝒂𝒓𝒄𝒐, una storia che stimola la riflessione su temi portanti dell’esistenza, la ricerca di una luce di speranza che riflette nell’amore il suo salvifico potere, sullo sfondo di una Sicilia onirica ma non priva di ispirazione tratta dal reale.
Avendo già apprezzato lo stile fluido e coinvolgente dello scrittore, la sua precisione servita dalla ricerca di profondità di significati, non posso che essere motivata a intraprendere la lettura e consigliare i suoi scritti.
Paola Carcò – Quello che mi è rimasto come sensazione a pelle è un certo pessimismo o forse disillusione in senso lato verso il genere umano che in parte condivido ma sempre nella speranza che….come dico spesso…noi buoni siamo di più altrimenti il mondo sarebbe finito peccato che non facciamo notizia! Condivido le considerazioni politiche! La descrizione della casa sul mare mi ci ha fatto entrare fisicamente e potrei disegnarla ma nonostante l’ubicazione sul mare della Sicilia, me la sono immaginata buia e vecchia, unico elemento di gioia la terrazza sul mare….anche con la pioggia! Molto ben descritte le sensazioni intime e gli autorimproveri! Comunque salta fuori una certa malinconica solitudine interna tipica di chi ha lasciato la sua terra! Lo consiglierò perché quando inizio un libro e non lo lascio vuol dire che c’è qualcosa dentro che mi attira. Non sono una grande lettrice di romanzi, eccetto quelli storici sul Rinascimento Medici Borgia Sforza….un ulteriore complimento ci sta!
Annarosa Cavicchi – La tela di Marco mi ancor di più convinta che scrivere un libro sulla propria vita sia per uno scrittore donare la parte più preziosa della propria vita alla pagina scritta perché il lettore se ne impadronisca e la faccia propria. È come mettersi in comunicazione d’anima con gli altri.
Nel libro ci sono tanti spunti di riflessione, anche perché la scrittura di un romanzo consente di dire, con garbo, cose altrimenti indicibili. Due i grandi temi della vita: il lavoro (il senso che dà alla vita, il conflitto di poteri) e i rapporti interpersonali (l’amore, l’amicizia, il tradimento, la cattiveria e il buonismo).
Quanto al primo argomento ho rivissuto, come in un filmato d’epoca, quel periodo dell’azienda in questione in cui erano forti le spinte riorganizzative finalizzate a sgretolare i nostri valori, quando, privandoci persino del nome, volevano toglierci la nostra identità. Come dimenticarsi di quelle frotte di consulenti che ci impegnavano in ben altre faccende, talora configgenti con gli stessi interessi aziendali. Consulenti “venuti da noi per imparare il mestiere” come ammise alcuni anni dopo l’AD succeduto a quello in carica in tal periodo.
Marco, all’apice della carriera, ma “stanco di essere circondato da ominicchi” e “deluso da falsità e finzioni” decide di troncare il rapporto di lavoro. Eppure nelle aziende le riorganizzazioni sono frequenti, ed infatti il successivo assetto riorganizzativo e societario ci ha restituito, insieme al nome, la nostra identità e il nostro patrimonio di valori e la riacquisita solidità ha consentito all’azienda di diventare la più grande e innovativa nel mercato di riferimento. E allora perché tanto pessimismo? Ogni persona deve amare il proprio lavoro, non soltanto per il denaro che guadagna, ma per il senso che dà alla sua vita per la convinzione di compiere un’attività proficua, degna di stima e di considerazione. Evidentemente nel caso di Marco tutto questo era venuto meno e lui si trovava incompatibile con “i nuovi mercenari subentrati”.
Sui rapporti interpersonali l’amore è analizzato nelle sue varie sfaccettature. La perdita dell’amore e il suo ritrovamento mi ricordano la canzone di Battiato “la stagione dell’amore viene e va”.
Più scottanti le pagine sulla ferita inferta dall’amicizia tradita. Come osserva uno dei personaggi (Gisella): “Un amico dovrebbe essere per sempre, se non hai sbagliato a considerarlo amico!”. In una amicizia ci sono vincoli di affetto, di vicinanza, di soccorso che raramente vengono recisi, altrimenti non è vera amicizia. La ferita di Marco è stata assai profonda e infatti il riferimento a questo dato oggettivo si ritrova spesso nei suoi ricordi e lo porta all’amara conclusione che i rapporti di amicizia sono nella maggior parte dei casi finti e che la comunicazione è a un livello ridicolo, solo smartphone e chat sui social media. Quanto è vero! Sui social si chiede amicizia, ma ritengo che si dovrebbe utilizzare un altro nome.
Permeate da gran pessimismo le pagine sul concetto di homo destruens, l’uomo “costruito” con il chip distruttivo e l’affermazione che solo i pochi uomini con un “difetto di fabbricazione” sono buoni e altruisti e comunque destinati a rimanere fagocitati dalla cattiveria e prepotenza altrui. Sconvolge una visione così pessimistica dell’umanità; io credo invece che l’uomo, pur non avendo alcune facoltà di scelta (il proprio viso, i propri genitori, la propria infanzia), possa scegliere tra il bene e il male, tra il giusto e l’ingiusto e credo anche – o almeno mi auguro – che il numero dei buoni sia superiore al numero dei cattivi. Ma anche Marco, in fondo, conserva la speranza quando ammette che le nuove generazioni, se ben guidate, con l’amore potrebbero salvare il mondo, ma noi dovremo salvare l’amore.
E il messaggio portante del libro è custodito nell’ultimo passaggio: “Si vive una sola volta, ma se si fa bene, è sufficiente”.
Lettura da consigliare a tutti gli amanti della parola scritta.
Fabio Zullo – Ho preso in mano il libro e lui non mi ha lasciato fino all’ultima pagina. Ti confesso che mi ha appassionato perchè mi ha proiettato indietro negli anni e il ricordo di situazioni e fatti offuscato dal tempo mi è sembrato più chiaro e coerente. Ho da tempo imparato che Il tempo è galantuomo. Le descrizioni di profumi e paesaggi mi hanno emozionato provocando sensazioni che può provare appieno un uomo di mare e del sud come me. Mi rincuora l’ottimismo e la speranza che solo l’amore in ogni sua forma ed espressione atea o credente potrà riaccendere le nostre vite. Speriamo che le nuove generazioni non perdano di vista questo faro.
Simonetta Petru – Il libro la tela di Marco libro che mi è piaciuto tantissimo si legge molto bene e che sicuramente consiglio caldamente a tutti. Mi auguro che abbia voglia di scriverne altri.
Recensione su Amazon Libri di Fabio Zullo
Paola Boscaini – Ho finalmente letto questo libro che peraltro si legge tutto d’un fiato! È scritto molto bene. D’altra parte Carmelo De Marco o fa le cose per bene o non le fa! Lo consiglio perché si capisce la spontaneità del racconto nelle parti autobiografiche che hanno creato non poca sofferenza da parte dell’autore ma anche gli insegnamenti che la vita offre anche nelle esperienze più tristi.
Licia Deligia – “Marco” è stato capace di mescolare e colorare le emozioni, dando forma al pensiero che lo accompagna: riappropriarsi della trama della sua vita. Le immagini che ci regala, nascono dalla disposizione di disegni che arrivano dai sussulti della sua vita: lavorativa e sentimentale.
La luce che cambia, di intensità e forma, produce invece, le ombre delle sue figure. Pagine fitte, precise e dettagliate, sull’amore e sulle sue relazioni amorose. Donne che gli hanno lasciato ricordi di presenze vive e ancora vicine. Ricordi che lo aiuteranno a capire, per non commettere gli stessi errori.
Ai colori, accesi e razionali, assembla i colori scuri di alcuni materiali di ”scarto”, che alludono ai conflitti di potere e alle incompetenze. Sia dell’azienda in cui lavora, che della società, in cui fatica a riconoscersi.
Lunga è la riflessione sul tradimento di un uomo, da cui si aspetta solidarietà e collaborazione. Un tradimento che fatica a trovare giustificazioni. L’amicizia non accetta sfumature di comodo, vuole colori accesi e primari; se viene tradita… è per sempre.
Sono anni strani. Mentre il tessuto italiano si ingrigisce, Marco si rifugia nella sua roccaforte e ci racconta di come, con nostalgica consapevolezza, coltiva un lungo percorso di disamore e separazione.
Dopo averci parlato, senza falsi pudori, della generosità e della creatività dei suoi giochi amorosi, decide di ripulire i suoi pennelli e di tornarsene alle origini.
Intraprende, così, un viaggio alla ricerca di quello che lui stesso definisce: “il suo tempo perduto”.
Aiutato dall’azzurro del mare e da un cielo che pullula di stelle, ritrova l’originaria fiducia. Con l’aiuto di una vecchia lampada, ricomincia a sognare.
Mentre acquisisce saggezza e la consapevolezza che la solitudine è per pochi, ci parla di speranza e di nuove curiosità.
Tra i moti ondulati del mare, Marco ci accompagna, con l’ascolto della sua musica e con la degustazione di cibo e vino di qualità.
Le sue pagine, potrebbero essere spartiti musicali. Dove, il bianco, non esclude la sensuale sollecitazione dei colori sgargianti. Colori appositamente voluti, per concentrare l’attenzione di chi legge, sulla musicalità affidata all’immaginazione.
Maria Elena Di Cara – La tela di Marco è un romanzo che ti cattura fin dalle prime pagine, perché l’autore porta subito il lettore a immedesimarsi nel personaggio narrante.
Marco, il protagonista è uno di noi, un uomo che ha avuto tutto dalla vita, successo nel lavoro, amori, fino a quando qualcosa s’inceppa e deve fare i conti con l’essenza della sua vita e dare risposte ai numerosi: “Perché?”
In fondo Marco scopre di non sapere chi è, di non amare il mondo del business e del profitto fine a se stesso dal quale si è cacciato via, e di non essere in sintonia con un mondo incolore, insapore, dove il denaro è diventato – per dirla con il grande filosofo contemporaneo Galimberti – il generatore simbolico di tutti i valori.
Marco si concentra sugli ultimi dieci anni della sua vita, un vuoto temporale – dopo la perdita del lavoro e dell’amore e il tradimento di un amico –, vissuto in campagna, come novello Cincinnato, a lavorare l’orto e a imparare a cucinare, ma senza trovare le risposte di cui ha bisogno. Per questo inizia un viaggio di scoperta alla “ricerca del tempo perduto”, come lui stesso dice richiamando alla memoria il grande Proust. Lo fa, senza sapere cosa riuscirà a trovare per una vera e propria rinascita, tornando sui luoghi della giovinezza, l’amata Sicilia dove è vissuto prima di emigrare nella bella Bologna. Con una certezza, quella di guardare il mondo che lo circonda con occhi nuovi. Da qui l’autore, o meglio il protagonista – pensiamo il suo alter ego – quasi psicoterapeuta di sé e della società che lo circonda, affonda le sue riflessioni sulla politica, sulla natura dell’uomo, che egli definisce distruttiva, con riferimenti filosofici che sconfinano nella teoria dei corsi e ricorsi di G. B. Vico. Un quadro pessimistico – si potrebbe dire – nel quale il lettore comune potrebbe stentare a ritrovarsi ma che alla distanza non si rivela tale poiché Marco lascia aperta la speranza di un mondo migliore puntando sulle nuove generazioni, oggi smarrite anche per nostra colpa, e soprattutto sull’amore. Struggente, come un aforisma inquietante, il passaggio in cui si dice: “Forse l’amore salverà le nostre vite, noi dobbiamo riuscire a salvare l’amore”.
Carmelo De Marco sorprende per quest’opera prima: scrittore già collaudato su generi letterari diversi, fra i quali non stupisce la poesia (come leggiamo nella quarta di copertina), ha costruito un romanzo esistenziale che lancia messaggi sui quali tutti dovremmo riflettere. Lo fa con leggerezza, con una scrittura essenziale e scorrevole che ti trascina d’un fiato dalla prima all’ultima pagina, una scrittura, come dire, evocativa, perché le parole si traducono in immagini e diventano film, sia che si tratti della descrizione di una terra meravigliosa, sia di un tramonto in riva al mare o sotto un cielo pieno di stelle con una coppa di Martini ghiacciato da sorseggiare.
Un esordio promettente che spero possa avere un seguito; a me è piaciuto, ve lo consiglio.
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