Mia figlia era sola, indifesa; io ero sola e bloccata, non potevo starle accanto, in balia del mio corpo anestetizzato e degli orari di visita del reparto di neonatologia da rispettare.
A me il contatto era stato negato e non potevo incolpare nessuno, nemmeno me stessa. Non potevo sentire il suo odore, toccare la sua pelle, baciarla, attaccarla al seno.
Chi l’avrebbe nutrita, pulita, lavata? Chi le avrebbe cambiato il pannolino? Chi avrebbe consolato i suoi pianti? Quali mani e braccia sconosciute avrebbero potuto prenderla in braccio?
Il mio istinto in gabbia, insieme al mio corpo e alla mia anima.
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